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05 giugno 2002
 
il ring dell'edilizia sostenibileSono passati diversi anni da quando cominciai a interessarmi di bioarchitettura.
Ricordo l'affannosa ricerca di documentazione e l'entusiasmo per questa disciplina che prometteva di coniugare il lavoro con i miei interessi, la pagnotta con la passione. Andai a Trento per iscrivermi ad un corso teorico-pratico, disposto a mollare la mia attività per dei mesi pur di apprendere i segreti del costruire sano. Fui scartato perché lavoravo già; il criterio mi parve bizzarro, ma avranno avuto le loro buone ragioni.
Cominciai a rompere le scatole a clienti e colleghi perché il muro dell'ottusità e dell'ignoranza andava abbattuto ad ogni costo ("Biocosa?!?" "B i o e d i l i z i a" "Che è?" "Adesso ti spiego...").
Ero convinto che nel volgere di pochi anni le cose sarebbero cambiate. In fondo si trattava di mettere in pratica idee di una semplicità disarmante: il buon senso dell'abitare e del costruire contro l'abbrutimento degli ultimi decenni.
Invece no.
O meglio, qualcosa si è fatto: alcuni concetti si sono diffusi, certi materiali sono entrati nell'uso comune, diversi progetti oggi tengono conto dei criteri di salubrità e sostenibilità (specialmente nel campo delle ristrutturazioni rurali e degli edifici pubblici). Poca cosa, comunque.
Invece la qualità media delle abitazioni è ulteriormente peggiorato. La stragrande maggioranza della popolazione continua a vivere in ambienti inquinati ed inquinanti e, soprattutto, IGNORA che ci sia un altro modo per fare le case. L'unica convinzione che si è radicata universalmente è: i prodotti naturali costano il doppio.
E io replico sempre più stancamente alle solite bestialità: "Mi raccomando, mettici un bel po' di cemento nell'intonaco!" "Sughero? non sarebbe meglio il polistirolo, che è eterno?" "Biocosa?!?".

Cosa abbiamo sbagliato?
Questo è un argomentone... ci ritornerò.




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